Mercoledì, 23 Marzo 2011 11:06

Il crocifisso declassato. Da "terribile mistero" a segnaposto identitario

Scritto da  Gerardo

Volentieri trasmettiamo il pezzo di grande saggezza di Gian Enrico Rusconi, apparso in "La Stampa" del 21 marzo.
"La sentenza della Corte di Strasburgo è prigioniera di un brutto paradosso. Dichiarando che il crocifisso esposto in un'aula scolastica non lede alcun diritto, non solo lo dichiara innocuo, ma declassa il più potente segno religioso dell'Occidente a un marcatore identitario. “Non fa male a nessuno” - come ripetono da sempre i molti per trarsi d'impaccio dal conflitto di ragioni che la questione seriamente solleva." (continua)



Il crocifisso non è innocuo
di Gian Enrico Rusconi
in “La Stampa” del 21 marzo 2011


La sentenza della Corte di Strasburgo è prigioniera di un brutto paradosso. Dichiarando che il crocifisso esposto in un'aula scolastica non lede alcun diritto, non solo lo dichiara innocuo, ma declassa il più potente segno religioso dell'Occidente a un marcatore identitario. “Non fa male a nessuno” - come ripetono da sempre i molti per trarsi d'impaccio dal conflitto di ragioni che la questione seriamente solleva.
Posso comprendere il tripudio dei cattolici governativi e dei leghisti che dopo lo smacco della riuscitissima festa dell’Unità d’Italia si consolano dicendo che nazionale non è la bandiera tricolore ma il crocifisso.
Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo della gerarchia ecclesiastica. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?
Preoccupazioni culturali, considerazioni psicologiche; deduzioni giuridiche. Di tutto si parla, salvo che del valore religioso del crocifisso che rappresenta (dovrebbe rappresentare) il Figlio di Dio in croce. Non semplicemente un uomo giusto e innocente ma - in una prospettiva teologica carica di mistero - il Figlio di Dio che muore per volontà del Padre per redimere l’uomo dal peccato. Terribile mistero di fede, diventato oggi incomunicabile, banalizzato a segnaposto identitario nazionale.
Evidentemente tra i «valori non negoziabili» di molti cattolici c’è la rivendicazione dello spazio pubblico per le loro idee su famiglia e omosessualità, ma non c’è la capacità di trovare le parole per comunicare verità dogmatiche di cui si è perso letteralmente il significato: peccato originale, redenzione, salvezza. Tanto vale ripiegare sulla simbologia umanitaria, come si trattasse di Gandhi. Anzi meglio di Gandhi: «Abbiamo il crocifisso».
Non è certo compito degli atei devoti o dei laici pentiti occuparsi di queste cose. A loro non interessano queste faccende teologiche. Ma dove sono i cristiani maturi? Dove sono i «teologi pubblici» - come dice la nuova moda?
Lascio a chi è più competente di me dare un giudizio giuridico sulla sentenza di Strasburgo. Il lungo testo sembra molto preoccupato di delimitare i confini della competenza della Corte: «Non le appartiene pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità quale è consacrato nel diritto italiano». In altre parole, si affida alla giurisprudenza italiana, facendo finta di non sapere quanto essa sia incerta e controversa. Anzi adesso molti uomini di legge saranno sollevati d’avere un’autorevole istanza «esterna» cui appoggiare i loro argomenti.
Un punto importante tuttavia è acquisito dalla sentenza: in tema di religione (insegnamento, spazio pubblico, rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato) il criterio nazionale ha la precedenza su ogni altro. Ma questo in concreto vuol dire che in Europa prevarranno linee interpretative molto diverse da Paese a Paese: la situazione francese è inconfrontabile con quella tedesca, con quella italiana, con quella spagnola, per tacere dei nuovi Stati membri dell’Europa orientale. Con buona pace dell’universalismo del messaggio cristiano ridotto a principi generalissimi diversamente intesi e praticati a Parigi, a Berlino, a Roma o ad Atene. E’ come se per paradosso si riproducessero di nuovo - in termini non drammatici - le antiche divisioni della cristianità occidentale.
Ma poi la Corte fa un passo ulteriore significativo, quando dichiara con una certa disinvoltura di non avere prove di una influenza coercitiva negativa del simbolo cristiano su allievi di famiglie di religione o di convincimenti diversi. In realtà proprio su questo punto è stata decisiva anni fa la sentenza della Corte Costituzionale tedesca (a mio avviso la più equilibrata e convincente mai pronunciata) che al contrario ha dichiarato necessario tenere in considerazione le opinioni di tutti gli interessati. Si tratta infatti di un conflitto tra diritti legittimi. L’esito finale della lunga appassionata controversia sul crocifisso in aula è stato il più impegnativo che si potesse immaginare: nessuna imposizione di legge, ma ragionevole intesa tra tutti gli interessati. In nome dell’universalismo e del rispetto reciproco.
E’ una strada difficile da praticare, ma è l’unica degna di una democrazia laica matura. Peccato che noi ne siamo ancora molto lontani.

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